Storia

 

BREVE STORIA DELLA VALSASSINA

- I Celti - In un tempo in cui il silenzio dell'uomo regnava sovrano sulla terra, coraggiosi pellegrini nomadi si spostavano per lande ricoperte da foreste oscure.Oltre 3000 anni fa una di queste popolazioni, nota a noi con il nome di Celti giunsero nelle terre della meravigliosa Valsassina, circondata da (altre) 3 gemme: la Val Varrone, la Val d'Esino e la Riviera del lago di Lecco. Da quel giorno la storia di queste valli, dominate da una natura incontrastata, divenne vecchia quasi quanto l'umanità stessa. A testimonianza di quei lontani giorni vi sono gli antichissimi luoghi di culto celtici che sono stati ritrovati da abili archeologi.

- I Romani - In seguito giunsero i conquistatori romani, che cominciarono subito a costruire una strada di collegamento attraverso la Val Biandino fino al di là delle Alpi. Fu attraverso questa via che le invincibili legione romane lasciavano il suolo della penisola italica per riversarsi nel cuore dell'Europa da conquistatrici, allargando i confini dell'Impero a nord fino alla lontanissima Gran Bretagna. Grazie a questa strada la valle ebbe un notevole incremento commerciale e oltre all'agricoltura vi fiorirono l'industria estrattiva e quella ferriera. Già in epoca pre-romana furono aperte e sfruttate le miniere di pirite da cui si estrae il ferro. L'alta Val Biandino nella zona del Rifugio Santa Rita ne rappresenta il più efficace punto di sintesi. La zona delle miniere è dominata dalla cima del Pizzo Tre Signori, così chiamato perché divenne il confine tra Ducato di Milano, la Serenissima Repubblica di San Marco e i Grigioni. Quanto rimane come testimonianza dell'attività mineraria, che durò attraverso i millenni fino al 19° secolo, è oggi parte integrante del percorso escursionistico-culturale della Dorsale Orobica Lecchese, con gli ingressi delle miniere trasformati in sito museale.

- Il Medioevo- Dopo al caduta dell'Impero Romano la Valsassina divenne un luogo conteso poiché punto d'incontro e scontro tra i nascenti feudi medioevali. Numerose sono le fortificazioni erette in posizioni strategiche lungo tutto il territorio, volte a proteggere i confini di ducati sempre più vasti. Oggi è possibile ammirare i resti dell'epoca dei cavalieri lungo tutto il territorio della Comunità Montana. Rocche in posizioni inassediabili, fortezze che dominano un paesaggio unico al mondo, chiese con affreschi antichissimi, edifici di un universo ricercato da sempre più appassionati.

- Forte di Fuentes - Nel territorio di Colico sono visibili le rovine del Forte di Fuentes, fatto costruire da Don Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes de Valdepero, governatore spagnolo dello Stato di Milano dal 1602 al 1610. Sua fu l'iniziativa di proteggere un delicato punto del confine, sul vertice del Lario, con un apprestamento difensivo, appunto il forte di Fuentes di Colico. Costruito fra il 1603 e il 1607, fu demolito nel 1796, quindi nemmeno due secoli dopo la sua costruzione, per volontà del futuro imperatore di Francia fra il giubilo dei giacobini locali.

- Forte Montecchio Nord - E sempre nel territorio colichese sorge il forte Montecchio Nord, altrimenti noto come Lusardi, che ben rappresenta le vicissitudini dell'organizzazione difensiva italiana alla vigilia del primo conflitto mondiale. Solo nel luglio 1911 i tecnici militari optarono per la costruzione di una batteria corazzata tipo Rocchi-Bralmont in quel di Montecchio Nord, rinforzata da appostamenti blindati per artiglierie da 149 mm sopra i resti del vicino forte di Fuentes. Pertanto Montecchio divenne il perno del Settore difensivo Merate-Adda. Nel 1912 furono stanziati i necessari fondi, nel 1913 venne approntata la viabilità militare a Montecchio Nord, Piona e Fuentes. Nel dicembre 1914 i quattro pezzi d'origine francese Schneider, protetti da cupole girevoli spesse 16 centimetri, potevano spedire i loro colpi da 149 mm sino a 14 chilometri di distanza.

 

LA VIABILITA' STORICA

Da sempre il territorio orientale lariano, venne attraversato da piste e rotte di collegamento fra la Pianura Padana, in particolare il comparto milanese, con le lande situate oltralpe, valicando gli alpini passi dello Spluga, Settimer, Maloja, Stelvio. Le strade del Lario orientale, non conobbero solo una funzionalità transitoria, ma contribuirono e si adoperarono per lo sviluppo economico e antropologico delle valli che ne formano il comprensorio. Già nel periodo medioevale una fitta rete di mulattiere solcava i pendii scoscesi per raggiungere i dispersi nuclei rurali, le postazioni militari di controllo, e soprattutto i giacimenti siderurgici coltivati. Questi furono per secoli la base dell’attività economica sviluppatasi lungo i corsi del Varrone, del Pioverna e del Gerenzone, e necessitava di strade sempre praticabili e in ordine, sia per il trasporto a valle del minerale, sia per spostare verso la città i manufatti ferrosi.Nel medioevo l’attività estrattiva ebbe un notevole incremento ed è logico presupporre che la rete viaria si consolidò proprio tra i secoli XII e XIV, in cui assistiamo anche alla definizione degli attuali borghi comunali.Negli Statuti Civili e Criminali della Comunità di Valsassina, diversi articoli si riferiscono alla manutenzione, i divieti di trasporto e di transito, le multe per i contravventori, dell’uso delle strade. Nel 1803, durante il Regno d’Italia, un documento illustra la necessità di urgenti interventi lungo la direttrice che porta alle miniere di Varrone.

Vecchia cartolina con il Ponte costruito nel 1711 e quello superiore nel 1883.
 

 

Foto dell'Alpe Soglia negli anni '40.

 

 

Negli anni Sessanta del XIX secolo si diede inizio alla costruzione del tratto di nuova Provinciale in alta Valsassina, in sostituzione dell’obsoleta Strada Nazionale denominata sulle mappe di allora "Strada Nazionale delle Miniere". Il nuovo tracciato seguì il medesimo andamento, anche se fu collocato su un diverso pendio per assecondare le pendenze e poter predisporre una sede stradale di larghezza superiore a 3 metri, e attorno al 1870, si giunse con i lavori nei pressi del torrente Varrone, dove ci si raccordò al vecchio tracciato. Solo nel 1883 venne eretto il ponte, denominato "Regio", in sostituzione del precedente, eretto all'epoca di Maria Teresa d'Austria.

A differenza della sponda Occidentale del lago, non sono segnalate in queste valli strade consolari romane, anche perché spesso in epoca romana si sfruttò il passaggio a lago fra Lecco e Samolaco per accedere alla ValChiavenna e alla Rezia. Gli itinerari principali per recarsi in Valtellina da Milano erano: Tramite imbarcazioni lungo il ramo lecchese del Lago di Como; Il passaggio lungo la riviera orientale, attraversando i paesi sul lago; Il tragitto a piedi che saliva da Lecco uscendo dalla porta di Villanova ed entrava nella Valsassina. Qui al viandante si prospettavano quattro diversi itinerari:

-       Ad Introbio poteva salire per la Val Biandino, scollinare lungo la costa nell’alta Varrone e valicare la Bocchetta di Trona per ridiscendere la Val Gerola e trovarsi a Morbegno;

-       Proseguire verso Taceno, salire a Premana e poi continuare lungo la valle del Varrone fino alla Bocchetta di Trona e riprendere lo stesso percorso di sopra;

-       Seguire il percorso precedente, ma al valico di Piazzo, anziché puntare per Premana, si volgeva verso Pagnona e ridiscendeva la ValVarrone fino a Dervio, imboccando la via della Riviera per giungere al trivio di Colico;

-       Deviare a Taceno in direzione di Bellano, salendo la mulattiera che porta in prossimità di Parlasco e scendere verso il lago, proseguendo verso nord sul cosiddetto “sentiero del viandante”. Un’altra importante via di comunicazione rilevata nel territorio, permetteva il collegamento fra la Valsassina e la Val Taleggio e Valtorta.

LA STRADA DELLA VALSASSINA

La strada più battuta per recarsi in Valtellina da Lecco e viceversa, fu quella valsassinese, a discapito del percorso a lago. Le varianti offerte sull’itinerario, consentivano al viandante di scegliere la strada più adatta a secondo se intendeva recarsi verso l’alta Valtellina o puntare verso Chiavenna e i passi dello Spluga o Maloja. Numerose sorsero nelle diverse epoche fortificazioni e baluardi a difesa della strada e dei borghi da essa attraversati. Tra Laorca e Ballabio, poco sopra Lecco, nel nucleo di Pomedo, sorgeva una torre che era in collegamento con il presidio di Ballabio e Castello a Lecco. Fortificazioni sparse sono ricordate a nord di Ballabio, ma certamente il principale sbarramento militare per difendere la vallata era la Rocca di Bajedo, posta sulla gola del Ponte di Chiuso, documentata già nel 936. Nell’abitato di Introbio, è conservata la torre costruita nel tardo medioevo, teatro di scontri tra faide opposte di Guelfi e Ghibellini attorno al 1400. Una fortezza certamente poderosa doveva pur essere la Rocca di Marmoro, costruita su un poggio sotto Parlasco, a guardia della via che proseguiva verso Bellano e così pure di quella che scendeva dalla Valcasargo. Lungo questa valle sorsero col tempo diversi capisaldi e torri d’avvistamento. Si citano quelle di Sommo Incino, poco sopra Taceno, la Bastia di Bagnala, edificata attorno al 1452-53. A Pagnona si conserva la torre, oggi trasformata in casa rurale, ricordata nelle memorie di Paride Cattaneo; essa sorge dove confluivano le strade provenienti da Premana e dal Valico di Piazzo. In ValVarrone, sono poi documentate le torri di Avano, Sueglio e Vestreno

ITINERARIO INTROBIO – VAL BIANDINO – VAL VARRONE – VAL GEROLA;

Questo itinerario si trova in alcune pubblicazioni indicato come “Via gentium” o “Via del Bitto” (perché porta verso la Val Gerola, in cui scorre il torrente Bitto da cui ha assunto il nome il tipico formaggio ivi prodotto). Diverse dovettero essere le bocchette in quota attraversate da percorsi, e nelle principali vi dovettero insediarsi dei capisaldi d’avvistamento o per il pagamento di dazi. Uno dei valichi più frequentati fu senz’altro la bocchetta presso Camisolo (2235 m.), in cui dalla Valsassina si passa nella bergamasca Valtorta.

 

 

Cippi di confine rilevati fra il Pizzo Tre Signori
e i Piani di Bobbio.

Su essa << una gran quantità di pietroni sparsi, ritenuti resti di antiche modeste fortificazioni ; è tradizionalmente additata come ruderi dell’antichissimo Castello Reino che doveva guardare la « via gentium » tra l’Italia e la Rezia>>. La valle della Troggia ha sempre costituito la via di comunicazione tra la Val Biandino e le miniere del Varrone e Introbio, era perciò percorsa dai minatori e dai cavallanti che portavano il minerale, legna, cibarie e ogni genere di beni da e per le miniere. In questa valle si trovava il grande forno da ferro fondato da Luigi Arrigoni e un antico deposito per il minerale ed il carbone; quest’ultimo edificio era già diroccato nella seconda metà del XVI secolo. La valle termina alla Bocca di Biandino (1496 m. s.l.m.) dove il torrente forma impetuose cascate poco sopra la Baita della Scala. Questo edificio fu costruito nel 1565 assieme ad alcuni depositi per il minerale (scotteri), affinché servisse ai mulattieri che trasportavano a valle la vena; il sentiero che mette in comunicazione la Val Biandino con la Val Varrone si chiama ancor oggi “Sentiero del fraini”. In fondo alla valle, ai piedi del pizzo Tre Signori, vi è un piccolo lago oggi conosciuto col nome di “Sasso”, ma un tempo, come viene riportato da Cattaneo della Torre, era chiamato “Lago della Ferrera”, ed in prossimità a questo, sul pendio verso nord, furono coltivate delle miniere.
Il medesimo itinerario era sfruttato anche da chi intendeva recarsi in Valtorta, territorio bergamasco dal XIV secolo sotto l’egemonia della repubblica Veneta.

ITINERARIO TACENO -PREMANA - VARRONE - VALGEROLA

La via dovette già essere percorsa in epoca romana, come si evince dalle monete rinvenute a Margno nel 1930 in due tombe riunite. Nei pressi del valico di Piazzo, che mette in comunicazione la Valsassina con la ValVarrone, si rilevano due toponimi lungo la strada che attestano la presenza di capisaldi romani. Due baluardi, posti sopra la chiesa di S. Margherita, sono ancora chiamati “Sasso della guardia” e “Premuro”, mentre l’esteso pianoro da cui dipartono le mulattiere che portavano ai paesi di Premana e Pagnona, è soprannominato “Il quadro”, indice forse di presenze fortificatorie. Questo collegamento divenne d’importanza vitale durante la guerra combattuta dagli spagnoli nei Paesi Bassi. Nel 1613, i Cantoni Svizzeri chiusero la strada del Sempione, e l’unico passaggio a disposizione, fu quello lombardo. Essi infatti, percorrevano la rotta che da Genova, dove sbarcavano, attraversava il Ducato milanese, e risalendo la Valtellina ed il Passo dello Stelvio, in tre mesi giungevano a destinazione. Il tracciato che sale alle miniere e verso la Bocchetta di Trona, oltre che rappresentare l’unico collegamento diretto con le unità estrattive, dovette essere utilizzato anche come via di lunga percorrenza verso i passi dello Stelvio e la Val Glossina, discendendo attraverso la Val Gerola che confina con la ValVarrone. Una significativa testimonianza la troviamo in un diario secentesco milanese: << 1636,10 giugno, « li francesi (sotto il comando del duca di Rovano o Rohan) vennero dalla Valtellina per la via di Premana nella Valsassina ove sebbene li passi sono stretti tuttavia non furono guardati a sufficienza dalli soldati quali erano venti per piosto solamente, quindi vennero in tuttal la valsassina, ove dimorarono sei giorni et poi si ritirirono a Morbegno nella valtellina …>>. Poco meno turbolento fu il transito delle truppe del marchese Davia il 16 aprile 1704 per correre da Lecco ad occupare il castello di Fuentes, che depredarono le chiese e la popolazione. Sotto l’impulso di Maria Teresa d’Austria, tra gli anni 1750 e 1760, fu migliorato il tratto di strada che da Premana sale fino alle miniere sotto il Monte Varrone, per consentire un più agevole trasporto del minerale estratto, verso le fucine ed i forni fusori dislocati numerosi lungo il torrente sotto l’abitato di Premana. Si allargò la sezione del sentiero, tutto realizzato in selciato, per consentire il passaggio di piccoli carri, e si appianarono le pendenze realizzando serie di tortuosi tornanti. Il ponte conservato sul torrente in località Ciudrino, fu costruito, come appare scolpito sulla chiave di volta, nel 1711. Durante la prima Guerra mondiale, la strada venne ulteriormente modernizzata e ampliata, in seguito alla costruzione della linea orobica di difesa che partiva da Colico fino in bergamasca. Si alzarono fortificazioni, postazioni strategiche lungo tutta la costa, e vennero realizzate anche tratti in trincea. Sulla bocchetta di Trona, ritenuto un passo strategicamente rilevante per l’incursione austriaca verso la Lombardia, si eressero delle ingenti costruzioni, costituiti da un forte con deposito e da case per il ricovero dei militari. Non furono utilizzati durante il conflitto, e successivamente una di queste case venne riadattata a colonia estiva per ragazzi, casa “Pio XII”. Gli edifici vennero bruciati durante una rappresaglia tedesca nella Guerra di resistenza nel 1944.

 

 

 

Casa Pio XII eretta alla Bocchetta di Trona.
Sul retro i resti delle fortificazioni della guerra 1915-18
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Documenti a cura di : Arch. Riccardo Bellati